Sulla Guerra

“La guerra ha molti volti. Credetemi, fratelli miei, con questi occhi ho visto spargere sangue da un capo all’altro della Via della Seta, e posso garantirvi che nessuno sarà mai davvero pronto ad affrontare i mille e mille modi di uccidersi a vicenda che tingono di scarlatto ogni granello di polvere sulla linea vitale del mondo.

Non aspettatevi grandi cariche di cavalleria, possenti squadroni di fanti e formazioni di arcieri in grado di oscurare il cielo, sulla Via non si muovono più immensi eserciti dopo la morte del grande Khan, ma solo piccoli gruppi di cani sciolti, squadre di guerrieri assetati di sangue e guardie armate a difesa delle carovane, oltre a pericolosissimi drappelli di fuoriusciti dall’esercito di Gengis Khan in cerca di facili vittime da saccheggiare e depredare.

La guerra statica tipica dell’occidente non ha mai attecchito negli enormi spazi vuoti, siano essi sferzati dal gelo più atroce o bruciati dal sole rovente, che si aprono attorno alla Via della Seta, garantendo così il successo di schermagliatori mobili e organizzati in piccole unità: i cavalieri mongoli in corazza leggera e armati del temuto arco composito rappresentano l’apice di questo modo di combattere. Capaci di muoversi rapidi sui terreni più impervi, questi predoni hanno padroneggiato l’arte delle tre posizioni di tiro: a destra e a sinistra della testa del cavallo e alle proprie spalle, grazie alle staffe che permettono loro di sollevarsi in piedi per tirare e alle dimensioni ridotte dell’arco che può agilmente essere teso senza essere intralciato dalla nobile cavalcatura.

I dervisci combattenti hanno portato all’estremo l’arte della spada in movimento, combattendo come veri e propri turbini mentre sembrano danzare attorno al nemico in un florilegio di sangue e bagliori metallici. I popoli della Cina hanno fatta propria una misteriosa arte che consente loro di scagliare pesanti palle di ferro, affilate frecce dalla punta crudele e dardi capaci di incendiare le fortificazioni a distanze folli, grazie all’uso di una misteriosa polvere nera che brucia col calore e con l’odore sulfureo dell’inferno stesso, attraverso pesanti tubi metallici che brandiscono come demoniache spade di fuoco.

Corpi atrocemente smembrati rappresentano il monito rimasto ai bordi della Via di misteriose armi esplosive, piccole sfere di metallo o di ceramica piene di una terribile miscela pirotecnica, che devasta carne, ossa e armature quando deflagra e sparge intorno a se’ una pioggia di frammenti acuminati: una grandinata di morte rovente che non lascia scampo e infonde il terrore nei sopravvissuti col rombo di tuono della sua fiammata e con la pioggia di sangue che ne scaturisce.

Vi sono poi armi e strumenti di morte ancor più insoliti e letali, come i Carri Fiammeggianti in grado di scagliare salve di frecce infuocate e i loro derivati più piccoli e portatili, i Nidi d’Ape; le spade riportate dal remoto Zipang dai guerrieri mongoli, chiamate Tachi, simili alle sciabole occidentali ma terribilmente più affilate e distruttive. I misteriosi supporti per scagliare manualmente le lance a distanze enormi, importati dalle lontane isole dell’Oceano Indiano meridionale, le palle incatenate usate dai più possenti guerrieri cinesi, distruttive e veloci come una meteora, e chissà cos’altro ancora.

Una sola certezza si trova in questo luogo tanto bello e tanto funestato dalla guerra, che l’uomo vive o muore su questo campo di battaglia tanto mutevole e cangiante solo se riesce ad essere fluido come l’acqua, sfuggente come il mercurio e astuto come l’aquila, cercando di adattarsi continuamente all’evoluzione rapida e implacabile degli strumenti e delle tattiche della guerra.”

In Fede

Fratello Heinrich, Anziano del Venerato Ordine dei Cavalieri Teutonici

Dualità

T’ai Chi, la Suprema Polarità. Tutto convive, si articola e contiene in sé il suo opposto, e senza di esso nulla esisterebbe. Il T’ai Chi T’u rappresenta in un unico simbolo l’intero concetto di dualità che compenetra se stessa, dipingendo in un cerchio due metà che si toccano in una S, ognuna delle quali copre, con il suo perimetro, l’intera circonferenza che la contiene, la parte che si sovrappone al tutto e ne è allo stesso tempo contenuta. Ogni metà del T’ai Chi T’u contiene anche una piccola porzione del suo opposto, un piccolo cerchio dello stesso materiale dell’altra metà, a rappresentare che nulla di ciò che esiste può durare senza una piccola parte dell’altro, non c’è buio senza luce e viceversa. Lo Yin, la metà nera, originariamente rappresentava la metà in ombra di una collina, e porta in sé la quiete, la notte, la femminilità, la saggezza e l’intuizione, mentre lo Yang, la metà bianca, rappresentava la metà in luce di una collina, e porta in sé la forza, il giorno, la mascolinità, la razionalità e la regalità. Il T’ai Chi T’u è in costante rotazione, a rappresentare la fluidità e la mutevolezza del tutto, dove ciò che è Yin può cambiare e diventare Yang e viceversa, fino a creare, nelle sue infinite sfumature, il Diagramma della Realtà Ultima.

L’uomo e la donna, il caldo e il freddo, il giorno e la notte, l’umido e il secco, la sistole e la diastole. Tutto, persino la Fisica, vive e insiste sul concetto di dualità, di azione e reazione uguale e contraria. La Vita e la Morte sono, in questo senso, la definizione ultima di Yin e Yang, di Immobilità opposta al Moto, oltre a donare un senso alla vita stessa, che proprio essendo inevitabilmente destinata a finire, porta in sé la spinta a migliorarsi e a cercare con tutte le proprie forze un modo per realizzare i propri sogni ed il proprio Sogno: quella scintilla, quella cosa che più di ogni altra splende all’orizzonte, quell’obiettivo a cui ogni essere umano consacra la propria vita e per il quale è disposto a lottare e ad affrontare qualsiasi prova, qualunque difficoltà e ogni pericolo, qualcosa per cui intraprendere il viaggio della vita e per cui andare avanti contro ogni avversità. Il mondo è sempre pronto a frenare il sognatore e contemporaneamente a spingerlo verso la sua meta, donandogli il giorno e la notte, il riposo e la fatica, l’apatia e la frenesia, il vento in faccia e quello alle spalle; sta al sognatore spingersi sempre più avanti, tentare in ogni modo di tendere la mano verso quella luce che splende più di ogni altra, quel Sogno che spinge i suoi piedi, un passo dopo l’altro, lungo il cammino che egli si è scelto.

Proprio questo cammino è ciò che trasforma un uomo con un sogno in qualcosa di più, qualcosa di superiore alla somma di Corpo e Mente, qualcosa di migliore di ciò che era all’inizio del suo viaggio. La volontà è ciò che distingue chi ha un sogno da chi vive per il suo Sogno, chi attraversa la vita da chi la vive davvero: ogni vero Sognatore è anche e prima di tutto un Viaggiatore, disposto a vagare in luoghi oscuri e misteriosi, ad affrontare leggende ed eventi che molti non riescono neanche a immaginare, sfidando uomini e miti, seguendo strade che solo pochi conoscono attraversando terre lontane e toccate dal male. E un giorno, chissà, forse questo Sognatore arriverà alla fine del suo viaggio, stanco e distrutto dalla fatica, ma felice di poter stringere nella sua mano quella scintilla che splendeva, lontano all’orizzonte…

La Vita Nel Gog

Durante il giorno, quando il sole illumina il cielo e la terra e gli orrori della notte sembrano solo racconti lontani, la vita nelle terre della Via della Seta continua a scorrere normalmente, come faceva prima dell’Eclissi e come la vivono la maggior parte delle persone che abitano queste terre tanto vaste e lontane.

Ma se si osserva con più attenzione, spostando lo sguardo dai mercati cittadini, dalle carovane che entrano ed escono dalle mura e dal normale viavai dei contadini e dei lavoratori, è possibile notare che qualcosa sta cambiando: sulle mura delle città le guardie scrutano l’orizzonte in cerca di nuvole di polvere, mentre le scorte delle carovane si muovono più vicine e raggruppate e portano spesso mani nervose all’elsa della delle spade, mentre con lo guardo guizzano da un lato all’altro della strada in cerca di qualcosa che non riescono neanche a definire.

Tutti, nessuno escluso, sono concordi nell’affermare che qualcosa nell’aria, nell’acqua, persino nella terra è cambiato, e un silenzioso ma gelido senso di minaccia imminente si insinua sotto pelle fino a produrre brividi ghiacciati persino sotto lo sguardo implacabile del sole di rame del deserto.

Molti sapienti affermano che gli elementi stanno soffrendo una sorta di squilibrio, e la natura rifugge con orrore tutto ciò che non ha un suo equilibrio implicito: alla fine di tutto, infatti, è l’equilibrio tra vita e morte che rende questo mondo ciò che è, e le voci di morti che non riescono a riposare nelle loro tombe, di persone che scompaiono nel deserto per ricomparire in notti agitate, a metà tra il sogno e la veglia, le ossa sbiancate che sempre più spesso fanno da cornice ai punti più remoti della Via, contribuiscono a far viaggiare veloci i racconti di orrori che non dovrebbero calpestare il suolo di questo mondo.

Neppure durante il giorno, poi, alcuni luoghi sono del tutto sicuri, e l’odore dolciastro di putrefazione aleggia sempre più spesso nel vento, insinuandosi in mezzo ai profumi dei mercati e agli effluvi dei falò, ricordando a tutti quelli che lo percepiscono che ovunque si trovano tombe piene di corpi morti, e che se questi dovessero davvero cominciare a rialzarsi, il mondo potrebbe finire per somigliare ad un vero e proprio inferno in terra…

La Morte Nel Magog

Da sempre l’essere umano ha visto orrori, paure e cose innominabili negli angoli bui durante le ore notturne, ma mentre nel resto del mondo la maggior parte di questi orrori sono solo una miscela di dicerie, animali notturni e paure ataviche, nel Magog la notte è letteralmente un velo oscuro che si alza su un groviglio di esseri pericolosi e famelici, di terrori veri e tangibili e di pericoli mortali che, giorno dopo giorno, minacciano di inghiottire l’intera Asia in un letale pozzo di oscurità eterna, per poi tracimare oltre i confini del muro e divorare l’intero mondo.

Voci inquietanti hanno cominciato a muoversi strisciando lungo le vie di comunicazione, raccontando di episodi terrificanti e misteriosi: persone trovate morte con un’espressione di assoluto terrore sul volto, villaggi fantasma nei quali nessuna traccia di vita è rimasta, carovane scomparse nel nulla, animali straziati da una violenza troppo grande e feroce per essere attribuita anche al più orribile degli esseri umani.

Le voci, col tempo si sono accumulate e trasformate, assumendo una vita propria e cominciando a spargersi incontrollate come un’onda di piena, ma le alte mura delle grandi città e le lance appuntite dei guerrieri hanno contribuito ad arginare tale marea, infondendo nella gente la convinzione che mura, guerrieri e numero avrebbero potuto tenere a bada qualsiasi orrore la notte avrebbe scagliato sul mondo.

E così, per anni, le voci si sono gonfiate fuori dai centri abitati più grandi, mentre villaggi sperduti continuavano a sparire, carovane a perdersi nella notte e coraggiosi solitari a non essere mai più rivisti nelle stazioni di posta e alle porte di grandi città; la vita, naturalmente, proseguiva, di giorno sotto il sole cocente e di notte alla luce di mille lanterne, che nonostante la negazione degli abitanti delle città rilucevano adesso più numerose e decisamente meglio alimentate.

Ma il Magog non si è fermato davanti allo scetticismo della gente, non si è fermato davanti agli spazi sterminati dell’Asia e, di certo, non si fermerà davanti a mura alte e solide, poiché il suo esercito sta crescendo inesorabilmente, ed ogni sua vittima va solo a rinfoltire le fila di quest’armata che, lentamente ma inesorabilmente, sta tracimando dai confini crepati che separano il luminoso mondo dei vivi da quello tenebroso dei morti.

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